lunedì 16 novembre 2009

Stimolazioni Basali

Si è concluso ieri il secondo livello del corso sulle Stimolazioni Basali tenuto da Teresa Whisoka, tenutosi presso la nuova sede cel Centro di Riabilitazione Visiva di Vercellisito in via Dante, 71.
Il corso ha ottenuto un buon successo ed un vasto consenso dai partecipanti.
Nel prossimo anno, probabilmente, si terrà anche una ulteriore giornata di approfondimento riservato a coloro che hanno freguentato le due sessioni precedenti, e considerando le numerose richieste potrebbe essere programmato ancora un corso di primo livello.
Coloro che hanno freguentato i corsi potranno lasciare i loro commenti che saranno molto apprezzati.
Cordiali saluti

Luigi Cerruti

Per info:
info@centrocresci.it

lunedì 20 aprile 2009

Al di là della conferma visiva - cap. 6

Questo è l’ultimo capitolo del libro di Maria Stefania Dolcino Bolis “Al di là della conferma visiva”.

CAPITOLO SESTO

La fruizione dei patrimoni artistici da parte dei non vedenti: la pittura

Nell’introduzione a questo libro, manifestavo la volontà di estendere la possibilità di espressione artistica del non vedente al movimento creativo e alla fruizione dello spazio in modo più autonomo e diretto. Spero, attraverso le riflessioni e le esperienze che ho mano a mano raccontato, di aver aperto qualche nuovo spiraglio a chi si occupa dell’educazione dei ragazzi in situazione di ipovisione o di cecità, nonché a tutti quelli che si dedicano ai giovani in situazioni di svantaggio. In questo capitolo, parlerò invece di una delle espressioni artistiche meno accessibili a chi non dispone del senso della vista – la pittura figurativa – e, sinteticamente dell’ultimo lavoro di sperimentazione che, a tal riguardo, ho portato avanti per le cui specifiche complessità ed i molti elaborati che comprende, rimando ad un’altra eventuale pubblicazione.
Un’opera pittorica pone, per un’infinità di motivi,barriere assai impervie per un non vedente. La prima è d’ordine fisico: anche indagando con la mano una tavola dipinta, infatti, non si può dedurne alcuna informazione su quanto vi è rappresentato. Ciò è dovuto al fatto che la pittura riporta una realtà tridimensionale su di una realtà bidimensionale: una tavola, un foglio da disegno, una tela, una parete…Le altre barriere sono d’ordine squisitamente sensoriale e dunque oltremodo difficili da superare: la realtà vissuta a livello tattile, e perciò con la modalità percettiva più consona alla persona non vedente, è molto diversa dalla realtà vissuta a livello visivo e l’opera pittorica figurativa la interpreta cosi come il nostro occhio la percepisce.
Come ho gia detto nei capitoli precedenti, la realtà visiva è una realtà deformata, il cui messaggio diventa fedele, qualitativamente e dimensionalmente, solo grazie all’esperienza differita e rielaborata a livello mentale. La deformazione prospettica, le informazione date dal chiaroscuro, le infinite possibilità di sovrapporre più volumi su un unico piano, sono infatti la sintesi delle nostre esperienze pregresse visive, motorie e cinestesiche e non fruibili da chi non dispone di un patrimonio sensoriale che comprenda anche la percezione visiva.
Un anno fa fui invitata dal presidente dell’U.N.I.Vo.C. di Vercelli, Luigi Cerruti, a progettare una modalità di presentazione di alcune opere pittoriche custodie al Museo Borgogna della medesima città , affinché esse potessero essere fruite dai non vedenti. L’idea mi piacque, ma la consapevolezza nei riguardi del profondo divario tra le percezione visiva e tattile, mi portarono in un primo tempo, a considerare la semplice realizzazione della descrizione in prosa delle opere scelte. Strada facendo, però, proposi a Luigi Cerreti e a sua moglie Paola Vaccino, entrambi non vedenti dall’età giovanile, uno schema in rilievo di una delle opere selezionate. Ne furono entusiasti e mi proposero di tentare “qualcosa di più” per realizzare il Catalogo per Non Vedenti della Pinacoteca Borgogna.
Iniziai così a lavorare sulla rappresentazione tattile di alcune tavole pittoriche e individuali una serie di operazioni che potevano essere effettuate sulla rappresentazione visiva, in modo da renderla fruibile, almeno in parte, sul piano tattile. Le sovrapposizioni dei volumi, per prima cosa, dovevano essere riorganizzate e, dove possibile, eliminate; i chiaroscuri andavano trascurati e le deformazioni prospettiche ridotte il più possibile: il tutto a favore di una maggior chiarezza didascalica e di una maggiore fedeltà alle rappresentazioni volumetriche e posizionali dei soggetti, anziché alla loro interpretazione pittorica. Ottenni così un prodotto che poteva essere goduto anche da chi fosse dotato di un patrimonio percettivo prettamente tattile e perciò adatto a decodificare corretti messaggi plastici, con o senza l’ausilio della vista.
Per diversi mesi ho lavorato a questo studio, appoggiandomi al Centro Regionale di Documentazione Non Vedenti di Torino: lì ho potuto realizzare, con il prezioso aiuto della signora Anna Lodi, e tavole tattili relative alla rielaborazione delle opere scelte, e, per tentativi successivi, giungere ad un prodotto che, proposto ad un certo numero di utenti non vedenti, si è rivelato non soddisfacente.
Il primo Catalogo per Non Vedenti della Pinacoteca Borgogna, costituito da dodici descrizioni in prosa e relative tavole in rilievo; relazioni di motivazione delle scelte operate per la sua realizzazione; istruzioni d’uso; verrà presentato al pubblico entro la fine dell’anno 2001 ed io mi auguro che possa aiutare il mondo dell’arte ad aprirsi al più vasto pubblico di chi dispone di un corredo sensoriale così peculiare come quello dei ciechi .
Mi auguro che il carattere sperimentale di questo lavoro sia il presupposto per osservarlo nei suoi pregi e nei suoi limiti, con semplicità, poiché è l’espressione di una sincera volontà di ricerca e di innovazione delle strutture culturali del nostro paese che si rivolgono sempre più spesso e più costruttivamente ad un pubblico all’interno dl quale non devono essere presenti discriminazioni di alcun genere.

Con l’auspicio che la lettura e lo studio di questo testo sia stato di beneficio a molti, vi invitiamo a lasciare i vostri commenti, oppure iniziare una discussione nel Forum dell’ Unione italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti all’indirizzo:
http://www.uicvercelli.it/
oppure accedendo direttamente al Forum:
http://www.uicvercelli.forumgratis.org/

Per informazioni:
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martedì 7 aprile 2009

Aldilà della conferma visiva - cap. 5

Ecco il Capitolo quinto del libro di Maria Stefania Dolcino Bolis: “Al di là della conferma visiva”.

CAPITOLO QUINTO

Avvio ad una concezione creativa, plastico-cinestesica, dello spazio


Nel presentare questo lavoro, introducevo la problematica della strumentazione nell'attività artistica, con una frase di Irene Prat, mia insegnante di artistica dal 1963 al 1966 ed in seguito cara consigliera ed amica, la quale insisteva nel ricordarmi che" quel qualcosa"prima o poi sarei riuscita ad esprimerlo, in modo soddisfacente per me, forse proprio il giorno che, scoraggiata, avrei usato senza più remore lo strumento. E in quel frangente mi raccontava di quando, un giorno della sua giovinezza, riuscì lei stessa ad esprimersi "come sentiva". Esattamente come aveva previsto Felice Casorati, suo maestro.
Uno strumento molto semplice è spesso più che sufficiente. L'essenziale è che sia congeniale a chi lo usa.
In un non vedente, in modo particolare, può essere consigliabile l'uso di un unico strumento, scelto con cura da allievo e maestro, relativamente alle esigenze espressive del discente. Questo per permetterne un uso talmente sciolto e spontaneo da renderlo un tutt'uno con il corpo dell'artista.
Là dove il fine è l'interpretazione espressiva, diretta, della realtà, l'artista non può e non deve essere condizionato da strumenti estranei alla propria corporeità. L'acquisizione della totale padronanza di uno strumento, infatti, equivale all'uso di una parte corporale direttamente coinvolta nell'espressione artistica: ne sono un esempio la pittura con le dita e la danza.
L'espressione è il riflesso simultaneo di una percezione, o l'atto che la interpreta facendola rivivere nello spazio e nel tempo. Uno strumento, uno solo, ma usato con maestria, limita la dispersività e concentra ogni qualità intellettiva ed espressiva sull'intenzione di filtrare la realtà attraverso la propria sensibilità e la propria modalità di percezione.
L'arte è la sintesi di un'interpretazione soggettiva del mondo, della vita, dove la decodificazione delle sensazioni propriocettive ed emotive, viene resa esplicita da un "prodotto" fruibile anche dagli altri, ma essenzialmente fedele all'esigenza espressiva dell'artista:
un'astrazione, dunque, di ciò che è soggettivo in qualcosa di più universale, espresso in forma analogica, per lo più,o prassica.
Una volta acquisita una concezione spaziale convincente, altamente ponderata, consapevole e ben ancorata al proprio modo d'essere e d'intendere la realtà, ci si potrà avviare fiduciosamente allo studio formale dello spazio e impostarne una rielaborazione creativa, prima, e una ideazione originale in seguito, lavorando sempre, profondamente, sul proprio sistema percettivo: su se stessi dunque, e sul rapporto che si ha con l'ambiente.
L'arte deriva proprio da questo rapporto, dalla sintesi di più funzioni mutuamente inscindibili, discendenti da informazioni sensoriali che nascono già condizionate, fuse intimamente fra di loro, a dispetto delle diverse canalizzazioni a livello recettivo.
Ma come l'acquisizione della totale padronanza di uno strumento equivale all'uso di una parte corporea, sicuramente l'acquisizione dell'assoluto controllo posturale, permetterà l'uso della corporeità come mezzo espressivo, sia che l'obiettivo si realizzi in un movimento libero, finalizzato al suo stesso evolversi, come la danza e la mimica, sia che si realizzi in un movimento creativo, finalizzato ad una produzione "esterna" al proprio spazio corporeo, come sostanza e come forma, come la scultura o un'altra qualsivoglia ricostruzione plastica.
E' così che la corporeità si fa strumento della volontà espressiva, ne asseconda l'inclinazione e le inferisce concretezza. Dunque, da
tramite di un fatto creativo, diventa essa stessa arte.
Nella ricerca delle peculiarità della forma spaziale, ho cercato di definire "la strada" che è necessario indicare ad un giovane in
formazione, per incanalare la sua innata curiosità, o voglia di conoscere, e la sua naturale predisposizione a "cercare risposte" tramite
l'uso del canale tattile-cinestesico, prevalentemente, nella ricerca delle linee essenziali e significative che definiscono la geometria di uno spazio attraverso la "metafora" del movimento corporeo.
Nell'avvio ad una concezione spaziale creativa, sempre extra-visiva, propongo l'operazione reciproca di questa. Parto dalle linee essenziali di una forma, sforzandomi di sintetizzarle, interpretando con la massima sincerità possibile l'immagine mentale che ho di questa.
La modellazione plastica parte dalla necessità di creare o di esprimere un'armonia di rapporti formali, dunque ancora attraverso il movimento, non "a perdere", questa volta, ma teso a ricostruire in modo personale e perciò anche eventualmente a modificare le
relazioni intrinseche di una forma, si compie l'atto creativo-espressivo. Atto che, nel caso specifico del non vedente e di chi desidera una verifica formale "al di là della conferma visiva", attinge sensibilità e finalità dall'esperienza tattile , e riesce a ricomporsi "in volume", grazie alla consapevolezza cinestesica dell'artista. Più profondamente, si avvale della capacità di questi, ad operare una valida introspezione a livello sottile, a scavare perciò nella propria essenza, nella propria esperienza, nel proprio modo di interpretare la realtà spaziale, formale, psicologica e percettiva. A cogliere dunque ciò che è l'essenziale d'un vissuto, per il proprio modo di ascoltare, collegare, ricordare.
E tanto più la forma interpretata si discosterà dalla sua stereotipata definizione, tanto più, presumibilmente, l'artista avrà seguito la sua
valutazione personale della realtà, che sarà sicuramente condivisa da, chi possiede il suo stesso patrimonio sensoriale.

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martedì 31 marzo 2009

Al di là della conferma visiva - capitolo 4

Scusandomi per il ritardo,riprendiamo la pubblicazione periodica in capitoli del libro di Maria Stefania Dolcino Bolis “Al di là della conferma visiva.

Colgo l’occasione per informarvi che considerato l’esito ampiamente positivo del corso sulle “Sttimolazioni Basali”, sarà presto programmato il corso di secondo livello e se ci saranno altre richieste si potrà ripetere anche il primo.

CAPITOLO QUARTO

L'importanza dell'ascolto di se stessi nell'indagine introspettiva e nella ricostruzione formale e spaziale


"L'apprendere è così insito nell'uomo, da essere quasi involontario" - afferma Jerome S. Bruner, e ancora: "Si deve all'educazione se colui che apprende, progredisce". Queste due osservazioni mi aiutano ad introdurre una nuova riflessione.
Credo che l'educazione, e in modo particolare l'educazione ad ascoltarsi, sia il tramite tra l'osservazione, la ricerca, l'analisi della realtà e la sua interpretazione, ovvero "il modo di vivere" questa realtà.
La percezione globale - o meglio la coscienza della percezione globale - è il primo passo verso l'introspezione che nel profondo considera "cosa si sente", non solo a livello percettivo, ma anche e soprattutto a livello sottile.
Quest'attenzione, che può essere innata, ma che è quasi sempre indotta o quanto meno sviluppata a diversi livelli, va coltivata con l'educazione, al fine di permettere il raggiungimento di un'evoluzione completa e armonica, che, di conseguenza, porterà al pensiero creativo e, infine, all'espressione. Attraverso quest’ultima, la persona potrà giungere ad un livello di vita realmente libero intimamente, originale e costruttivo.
Ogni essere umano ha in dotazione un patrimonio che deve essere adeguatamente orientato dalla più tenera età, al raggiungimento della consapevolezza del proprio modo d'essere.
In questa sede vorrei semplicemente sottolineare la vitale importanza che ha l'educazione, nel portare l'individuo alla presa di coscienza di una sua propria identità emotivo-psicologica, attraverso l'ascolto del proprio intimo sottoposto a stimolazioni diverse, cognitive, ambientali, culturali, affettivo-relazionali. Naturalmente, diverse modalità di percezione possono originare diverse modalità d'interpretazione della realtà.
Questo non significa che la realtà sia soggettivabile in concreto, ma significa che di uno stesso fenomeno si possono avere più immagini mentali, tutte conformi all'oggetto e tutte rispondenti ad una certa verità percettiva.
Ad esempio, io ora proverò a costruire la descrizione di due immagini mentali diverse di uno stesso oggetto, la prima volta immedesimandomi in un bambino sensorialmente normodotato, che difficilmente opererà indagini tattili dopo una prima valutazione visiva soddisfacente, e la seconda volta immedesimandomi in un bambino non vedente, che può valutare la forma di un oggetto, solo
toccandolo. L'oggetto che scelgo è una palla, anzi per la precisione considero due palle gialle, identiche alla vista, ma una di gomma dura e una di gommapiuma, ed una terza palla di gommapiuma verde.
Le immagini mentali dei due bambini saranno dunque:

- Palla gialla: oggetto sferico di colore giallo, rimbalzante, di date dimensioni
- Palla morbida: oggetto sferico, morbido ed elastico, rimbalzante, di date dimensioni

e come è evidente, entrambe sono conformi all'oggetto e rispondenti alle diverse verità percettive dei bambini.
Confrontando a due a due, prima le due palle gialle e poi le due palle morbide, i due bambini daranno risposte discordanti: delle due palle gialle infatti il bambino che avrà operato un'indagine di tipo visivo, dirà che sono uguali, mentre il bambino che avrà operato un'indagine tattile dirà che sono diverse. II contrario avverrà per le due palle morbide, al tatto entrambe della medesima consistenza, ma alla vista di colore diverso. Ma in assenza di luce - cioé obbligando i due bambini ad usare gli stessi canali sensoriali nell'indagine - si avranno risposte concordi. A parità di condizioni cognitive, percettive e di attenzione, si avranno immagini mentali molto simili, forse uguali, e in condizioni diverse si avranno immagini mentali diverse, perché è diverso il presupposto da cui si osserva la realtà


L'ascolto di sé, inteso come attenzione alla propria capacità di ricezione e di rielaborazione degli stimoli, non è condizionato, come abbiamo già visto, solo dalla qualità dei canali sensoriali, ma dipende anche dalle qualità cognitive e psicomotorie del soggetto.
Abbiamo già parlato a lungo della parzialità della percezione visiva, e abbiamo già approfondito il discorso sulla parzialità della qualità della rielaborazione percettiva nei casi di minorazione cognitiva. L'insufficienza è data, in questi casi, dall'incapacità a trasformare, senza un'adeguata mediazione, lo stimolo ai un messaggio che possa perfezionare l'immagine mentale e complessiva della realtà osservata. Qui, l'educatore - il mediatore - ha il delicato compito di individuare "l'anello mancante", ovverosia il tipo di canale o cognitivo o sensoriale, che non attivandosi, nel processo di assimilazione del concetto o di un apprendimento diverso, va orientato a lavorare in modo
da permettere al ragazzo d'accedere gradualmente e compiutamente al successivo livello di conoscenza.
Ricordo a questo proposito il caso di Davide, portatore di una sindrome genetica con tratti di insufficienza mentale. Il ragazzo, vivace ed interessato in modo particolare alle discipline geometrico-matematiche, aveva difficoltà di orientamento spaziale e di coordinazione motoria, ma apprendeva con una discreta abilità i contenuti simbolici e le seriazioni.
Giunti allo studio della geometria piana, mi trovai di fronte al problema di fargli comprendere la differenza tra perimetro e area. A nulla valsero cordino e metro per fargli comprendere il concetto di perimetro, né valsero le esercitazioni con carta colorata e quadrettatura delle figure più semplici per fargli comprendere il concetto di superficie. A nulla valse incollare carte colorate su quadrati e triangoli per evidenziarne l'area, né servi contornare le medesime figure con pastelli o filo di lana, per concretizzare il concetto di perimetro. Per lui, le due entità lineare e superficiale, non aggiungevano nulla a ciò che aveva recepito come triangolo, quadrato, esagono: area e perimetro
erano due parole che corrispondevano a due formule e nulla di più. Ben conoscendo le difficoltà del ragazzo, impacciato e disorganizzato nel movimento, considerai che il problema stesse proprio nell'incompleta maturità dello schema corporeo, e che egli non riuscisse a trasferire nel profondo, né la forma, cd la consistenza delle figure che, si, riusciva a memorizzare, discriminandone le caratteristiche geometriche, ma non riusciva a fare proprie a livello corporeo.
Questa è, invece, per la maggior parte di noi, un'operazione mentale praticamente inconscia, e solo se siamo obbligati ad esplicitarla, la razionalizziamo.
Decisi così, di condurre Davide, ad utilizzare una via percettiva diversa, che gli consentisse di usare il corpo come recettore, escludendolo agli stimoli visivi. Preparai delle tavolette di forma geometrica varia,- naturalmente a lui già nota-, e gliele proposi, chiedendogli di
chiudere gli occhi e di "indovinarne" la forma. Egli le riconobbe tutte. Poi gli proposi di mettere la benda sugli occhi, gli feci scegliere una tavoletta, un quadrato, e poi gli raccomandai di usare un solo dito per effettuare 1' esperimento.
Egli eseguì l'operazione con un certo impaccio, poi la ripeté più volte, condotto lentamente dalla mia mano, a soffermarsi su un vertice, poi sull'intera estensione di un lato, poi su un altro vertice, fino a che egli stesso concluse che vi erano quattro vertici e quattro lati. "Questo è il perimetro, Davide, sottile, sottile; lo puoi toccare con la punta del dito". Tolta la benda, ripeté la stessa operazione su ogni figura e poi scrisse, senza quasi rendersene conto, la formula del perimetro sul suo quaderno "il perimetro è uguale a lato più lato più lato...". Gli diedi allora un mazzetto di bacchettine invitandolo a comporre una strana figura con uno strano perimetro. Senza esitazione fece quanto gli avevo richiesto e poi, pazientemente e con gran gioia, misurò ogni bacchetta e calcolò il perimetro della figura. Alcuni giorni dopo ripetemmo l'esperimento, usando ,per ispezionare la figura, non più la punta del dito, bensì il palmo aperto e disteso della mano, accarezzandola; poi, a conferma, Davide pose il piccolo quadrato sulla sua guancia. L'area può essere toccata per disteso. Da quel giorno il ragazzo non fece più confusione. Aveva reso proprio il concetto, passando attraverso un'immedesimazione corporea, che aveva trovato la sua via attraverso il canale tattile-cinestesico.
E' una differenza sostanziale quella tra l'aver capito, a parole, e l'aver capito di fatto: il concetto è registrato come esistente, ma non come arricchimento personale. L'atteggiamento del discente è, nonostante l'apparente attenzione, passivo. Solo la rielaborazione personale può trasformare la proposta didattica in conoscenza. Se poi alla rielaborazione, viene fatta seguire unaa discussione sui motivi che hanno spinto ogni singolo discente ad operare in un certo modo, ecco che l'apprendimento diventa attivo; l'individuo è obbligato a confrontarsi con se stesso, con le sue esperienze pregresse, con la sua nuova conquista cognitiva e con i suoi limiti. Dunque ad operare una prima considerazione sul suo modo d'apprendere e sul suo modo di cogliere nessi e contenuti.
Nel caso delle minorazioni, questo passaggio di qualità nell'apprendimento, questo orientamento ad "ascoltarsi", è ancora più importante, perché consente di valorizzare in modo esplicito le doti dell'alunno, di portarlo gradualmente alla scelta cosciente dei mezzi e dei metodi di studio che gli sono più congeniali.
Un'adeguata educazione all'ascolto di sé, conduce, dunque, alla consapevolezza del proprio modo d'essere, attraverso la considerazione delle proprie modalità di ricezione e di trasferimento di queste in immagini mentali. E conduce ad una maturità decodificativa, che deve essere avviata alla riflessione e all'attenzione della sua stessa modalità di realizzazione.
Concludo questa mia riflessione con altri due pensieri di Ausbel e Bruner, "L'apprendimento insegnato è significativo perché trasforma attivamente e dinamicamente la struttura conoscitiva del soggetto", “l'apprendimento significativo viene alimentato da motivi intrisechi, e cioè inerenti alla sua stessa attività".


Prossimamente verrà pubblicato il capitolo quinto.

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giovedì 15 gennaio 2009

al di là della conferma visiva cap.2

Oggi sperando di fare cosa gradita a tutti quelli operatori che sono impegnati nel settore dell’integrazione scolastica degli alunni disabili ed in particolare con minorazione visiva, pubblichiamo ilSecondo Capitolo del libro di Maria Stefania Dolcino Bolis: “Al di la’ della confermma visiva”.

CAPITOLO SECONDO
La capacità di analisi e di sintesi tattile relative alla materia e alla forma



Chi possiede l'integrità dei sensi - vista, udito, olfatto, gusto, tatto e senso cinestesico –difficilmente, proprio per la naturalezza con cui avviene la reciproca compensazione, si sofferma a ponderare la mutua collaborazione dei ricettori sensoriali a livello cerebrale.
Ancora meno frequentemente si considera quale grande peso abbia l'esperienza acquisita attraverso le percezioni sensoriali, sulle stesse modalità di ricezione e d'interpretazione.
Consideriamo, ad esempio, un bambino di quattro anni: già cosciente d'una certa relazione posizionale tra gli oggetti; già padrone d'un certo concetto di forma e di dimensione; ancora scevro della consapevolezza che il nostro occhio percepisce una realtà deformata. E’ probabile che disegni un fiore con un'approssimata forma di fiore, così come riuscirà a riprodurre un bambino - se stesso? - già dotato di una forma funzionale. Probabilmente egli saprà anche mettere in relazione i due elementi, ma "a modo suo", non come l'occhio li vede. Potrà dimensionarli secondo un taglio emotivo, psicologico, funzionale, sociale, ma certamente non oggettivo; non secondo un rapporto dimensionale matematico.
La sua mente, spinta dall’esperienza ad un continuo riadattamento, evolverà la propria capacità di ricezione a livello cerebrale, fino a quando esperienza e maturità nervosa avranno raggiunto un livello di reciproca conferma. In quel momento la coscienza dell'effetto prospettico con cui la nostra mente, attraverso il canale visivo, percepisce la realtà, giustificherà anche ogni esperienza precedentemente acquisita come un fatto episodico, non ancora accettato quale effetto di una ben precisa modalità di elaborazione degli stimoli ambientali da parte dei recettori sensoriali.
Il bambino non vedente, sulla base di una sempre maggior esperienza tattile, compenserà questa modalità con altre forme di evoluzione. Dunque ogni suo traguardo cognitivo, di comprensione della realtà, verrà costruito passo passo sulle rielaborazioni mentali di esperienze acquisite tramite il senso del tatto, supportato da quello cinestesico, dall'udito e dall'olfatto; esperienze che anche in questo caso verranno "riposte" in attesa del momento adatto a trasformarle in postulati.
La compensazione della mancanza di percezione formale "a distanza", o comunque prettamente visiva, avviene attraverso una diversa acquisizione della spazialità. Ciò si struttura attraverso particolari esperienze che vanno incoraggiate, almeno fino a quando il ragazzo, non ne comprenda da solo il valore e il fine.
Perché la mente possa rielaborare dei concetti formali corretti, le esperienze tattili manuali e posizionali, mirate alla conoscenza di determinati oggetti, dovranno essere guidate, così da accrescerne la qualità; contemporaneamente esse saranno classificate sulla base di una quantità sufficiente, affinché sia possibile costruire una "regola" di forma, di posizione o di funzione.
Si può dire perciò che ognuno dei livelli di percezione raggiunto è sintesi di una serie di rielaborazioni, che, per approssimazioni successive, hanno prodotto un grado diverso e certamente superiore di conoscenza.
Conoscenza che è molto difficile da comprendere per coloro ai quali il senso della vista non fa difetto; sotto questo profilo, esso può perfino diventare un'interferenza. Per esempio, per chi non dispone del senso dell'udito, toccare una membrana tipo pelle di pecora, tesa su di un telaio, potrà certamente richiamare la conoscenza di alcuni strumenti a percussione. Nonostante, infatti, l'immagine visiva dei tamburi sia assai differente, sotto l'aspetto formale-visivo, da quella di una pelle scuoiata, il senso del tatto riconosce nell'esperienza attuale (ciò che si sente sotto i polpastrelli della dita) l'affinità tra i due oggetti. Naturalmente, se non è possibile toccare l'oggetto, e in mancanza di una sensazione acustica, per il soggetto resta certamente più difficile rilevare una somiglianza.
Nella stessa situazione, un non vedente, tramite una lieve ispezione tattile - anche un vago sfibramento - correlerà i due oggetti attraverso l'essenza che li affina. In questo caso l'immagine visiva è totalmente vicariata da quella uditiva. In entrambi i casi, comunque, si rileva quanto l'ispezione tattile sia determinante per definire gli oggetti, e quanto l’immagine tattile sia prevalente, rispetto a quella visiva e uditiva, nella loro definizione.
Si può dedurre che: la percezione globale è data dalla sommatoria delle diverse immagini mentali che si integrano tra loro e, contemporaneamente, dalle certezze acquisite con l’esperienza, che si compensano e affinano reciprocamente.
Ecco un altro esempio: l'immagine visiva di un cerchio posizionato con un'angolazione di 45° rispetto al piano orizzontale, è un'ellisse, ma solo la sovrapposizione dell’esperienza tattile e cinestesica permette all'osservatore di valutarne l'inclinazione, stabilendo, di conseguenza che, profondità più inclinazione danno un'immagine deformata rispetto quella che si avrebbe su piani ortogonali al sistema spaziale di riferimento. Questa immagine, a tutti gli effetti, è "naturale", ma solo la complessa e paziente trama delle sensazioni, prima propriocettive, poi esterocettive della spazialità, potrà permetterne una valutazione oggettiva, definendo la reale posizione dell'oggetto anche "a distanza" e nonostante l'evidente contraddizione del messaggio esclusivamente visivo.
L'immagine tattile deriva anch'essa da una ricerca di esperienze formali profonda, ricca e, per eccellenza, propriocettiva poiché mirata all’identificazione di se stessi sia con la forma che con la sua stessa essenza.
Scrive Maurice de Sausmarez1: "Si potrebbe disegnare seguendo indicazioni solo tattili […] addestrandosi a trasferire se stessi nella presenza sostanziale di una forma". Naturalmente, per quanto concerne il controllo dell’eventuale produzione grafica, ciò si riferisce a coloro che hanno il senso della vista integro, ma non vedrei controindicazioni ad un simile esperimento, se riferito ad una riproduzione plastica dell'oggetto, nemmeno per coloro che hanno possibilità di riscontro visivo ridotte o nulle. Anzi sono fermamente convinta che nella scultura, la vista possa giungere a perturbare gravemente l'obiettivo di riprodurre la tridimensionalità, poiché sotto l'aspetto mutevole della luce e secondo l’orientamento della fonte luminosa, la forma assume valenze diverse, creando e smentendo volumi che contribuiscono a rendere ambigua la forma “assoluta”2.
La sensazione tattile di spazio deriva dalla percezione dei rapporti formali esistenti innanzitutto con se stessi - e più precisamente con il nostro corpo per quanto riguarda l'ambiente "a dimensione uomo", e con la nostra mano per quanto riguarda le unità formali minime, "a misura di mano"- successivamente nell'ambito dell'oggetto stesso3, e, infine, nella relazione tra la forma e lo spazio che la contiene o che da essa è definito.
La percezione uditiva, unita alle percezioni della temperatura, olfattive, gustative e cinestesiche, completa il processo cognitivo di costruzione di una certa "immagine" mentale, quale può essere "la piena consapevolezza di un vissuto o la globale conoscenza di un aspetto materiale della realtà4.
"Risulta evidente che il cieco otterrà rappresentazioni sempre più precise tanto più saprà servirsi del suo corpo come recettore di stimoli" scrive Luciano Paschetta; e ancora: "La percezione aptico-cinestesica fonda e garantisce la possibilità di conoscenza del cieco"5.
Anche nella persona svantaggiata a livello psichico, la sensazione tattile è fondamentale per l'assimilazione della forma come un qualcosa di proprio, di vissuto. Essa, inoltre, è coerente nel suo valore di esperienza diretta per l'immediato riscontro che, purché sia buona la capacità ricettiva, opera a livello propriocettivo. II bambino "sente" con il proprio corpo, entra a far parte della forma stessa e della qualità della materia, nel modo più istintivo e naturale; anche senza dover ricorrere a comparazioni logiche, egli può giungere a strutturare un'immagine mentale, forse parziale, forse epidermica, ma comunque già coerente con la natura dell'oggetto.
Ritengo ancora utile osservare che a differenza della sensazione visiva, la sensazione tattile coglie meglio l'aspetto spaziale negli oggetti piccoli, e obbliga invece ad una analisi frammentaria - implicante poi una ricostruzione spaziale differita - negli oggetti di dimensione maggiore, cioè non contenibili tra le due mani o comunque non rapportabili facilmente con la dimensione media del nostro corpo. Ciò è imputabile alla maggiore padronanza della sensazione propriocettiva, che ci permette di identificarci con una forma nel momento in cui riusciamo a sintetizzarla. Non credo che sia fuori luogo assimilare con il "colpo d'occhio" visivo, l'immagine mentale immediata che deriva dall’ispezione tattile di un oggetto "microscopico".
Per capacità di analisi e di sintesi tattile, intendo perciò la capacità di correlare correttamente le intrinseche relazioni di forma, di proporzione, di consistenza, di temperatura, di finitura superficiale, di peso, di "dimensione" di un qualsiasi oggetto, rilevate attraverso il senso del tatto e con ogni altra esperienza sensoriale che si definisca attraverso canali non strettamente visivi, che possa originare immagini mentali diverse.


Scheda: analisi di un oggetto.
Osservazione guidata delle sue caratteristiche (effettuata in classe)
Obiettivo: razionalizzare le percezioni e tradurle in informazioni
Caratteristiche dell'oggetto: ispezionabile con le mani; in questo caso è un piccolo prisma di legno

Ins.: "Ispeziona la forma e dimmi di cosa si tratta".
Sara: "E' un piccolo parallelepipedo".
Ins.: "Sii più precisa".
Sara: "E' a base triangolare".
Ins.: "Bene, allora è un prisma. Adesso dimmi di che materiale è".
Sara: "E' di legno".
Ins.: "Perché?".
Sara: "Perché è di legno".
Ins.: "Prova a spiegare quali particolari ti fanno pensare che sia di legno".
Sara: "Ha la superficie un po' rigata in alcuni punti".
Ins.: "Ti aiuto…Se fosse di ferro…?".
Sara: "Sarebbe più pesante".
Ins.: "Bene, e poi?".
Sara: "Sarebbe arrugginito".
Ins.: "Sforzati di immaginare che sia di metallo...".
Sara: "Freddo!".
Ins.: "Vedi, con un po’ di attenzione hai razionalizzato le sensazioni che l'oggetto produce in te, e che ti danno informazioni sulle sue caratteristiche: la sua forma, il materiale di cui è fatto, il suo peso, la sua finitura superficiale, la sua temperatura e le sue dimensioni".


Prossimamente sarà pubblicato il Terzo Capitolo.
Nel frattempo sono sempre graditi vostri commenti.


Luigi
Per informazioni:
info@centrocresci.it

Sito web:
www.centrocresci.it
1 M. de Sausmarez, Basic design: the dynamics of visual form, Calderini, Bologna, 1974.
2 Per forma “assoluta” si intende la forma in assenza di luce o esposta a luce totale e uniforme; condizione che, sotto l’aspetto visivo, corrisponde ad assenza di profondità, essendo questa data proprio dal contrasto chiaroscurale.
3 Per esempio il rapporto tra peso e ampiezza, che dà immediate informazioni circa la densità del materiale costituente l’oggetto.
4 Per conoscenza si intende: le caratteristiche intrinseche ed estrinseche.
5 L. Paschetta – G. Oberto, Il bambino cieco nella scuola di tutti, Omega, Torino, 1983: dove “percezione aptica” è la percezione che deriva dalle sensazioni tattili della mano.
Anche nella persona svantaggiata a livello psichico, la sensazione tattile è fondamentale per l'assimilazione della forma come un qualcosa di proprio, di vissuto. Essa, inoltre, è coerente nel suo valore di esperienza diretta per l'immediato riscontro che, purché sia buona la capacità ricettiva, opera a livello propriocettivo. II bambino "sente" con il proprio corpo, entra a far parte della forma stessa e della qualità della materia, nel modo più istintivo e naturale; anche senza dover ricorrere a comparazioni logiche, egli può giungere a strutturare un'immagine mentale, forse parziale, forse epidermica, ma comunque già coerente con la natura dell'oggetto.
Ritengo ancora utile osservare che a differenza della sensazione visiva, la sensazione tattile coglie meglio l'aspetto spaziale negli oggetti piccoli, e obbliga invece ad una analisi frammentaria - implicante poi una ricostruzione spaziale differita - negli oggetti di dimensione maggiore, cioè non contenibili tra le due mani o comunque non rapportabili facilmente con la dimensione media del nostro corpo. Ciò è imputabile alla maggiore padronanza della sensazione propriocettiva, che ci permette di identificarci con una forma nel momento in cui riusciamo a sintetizzarla. Non credo che sia fuori luogo assimilare con il "colpo d'occhio" visivo, l'immagine mentale immediata che deriva dall’ispezione tattile di un oggetto "microscopico".
Per capacità di analisi e di sintesi tattile, intendo perciò la capacità di correlare correttamente le intrinseche relazioni di forma, di proporzione, di consistenza, di temperatura, di finitura superficiale, di peso, di "dimensione" di un qualsiasi oggetto, rilevate attraverso il senso del tatto e con ogni altra esperienza sensoriale che si definisca attraverso canali non strettamente visivi, che possa originare immagini mentali diverse.


Scheda: analisi di un oggetto.
Osservazione guidata delle sue caratteristiche (effettuata in classe)
Obiettivo: razionalizzare le percezioni e tradurle in informazioni
Caratteristiche dell'oggetto: ispezionabile con le mani; in questo caso è un piccolo prisma di legno

Ins.: "Ispeziona la forma e dimmi di cosa si tratta".
Sara: "E' un piccolo parallelepipedo".
Ins.: "Sii più precisa".
Sara: "E' a base triangolare".
Ins.: "Bene, allora è un prisma. Adesso dimmi di che materiale è".
Sara: "E' di legno".
Ins.: "Perché?".
Sara: "Perché è di legno".
Ins.: "Prova a spiegare quali particolari ti fanno pensare che sia di legno".
Sara: "Ha la superficie un po' rigata in alcuni punti".
Ins.: "Ti aiuto…Se fosse di ferro…?".
Sara: "Sarebbe più pesante".
Ins.: "Bene, e poi?".
Sara: "Sarebbe arrugginito".
Ins.: "Sforzati di immaginare che sia di metallo...".
Sara: "Freddo!".
Ins.: "Vedi, con un po’ di attenzione hai razionalizzato le sensazioni che l'oggetto produce in te, e che ti danno informazioni sulle sue caratteristiche: la sua forma, il materiale di cui è fatto, il suo peso, la sua finitura superficiale, la sua temperatura e le sue dimensioni".


Prossimamente sarà pubblicato il Terzo Capitolo.
Nel frattempo sono sempre graditi vostri commenti.


Luigi
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venerdì 9 gennaio 2009

Al di là della conferma visiva cap. 1

Riprendiamo la pubblicazione del libro di Maria Stefania Dolcino Bolis, “Al di là della conferma visiva”.
Questo testo lo riteniamo molto utile non solo per gli addetti ai lavori, ma può essere un valido supporto anche per tutti coloro che si avvicinano per la prima volta ai problemi relativi all’integrazione scolastica dei bambini con disturbi visivi.

CAPITOLO PRIMO
La padronanza dello schema corporeo


Durante la crescita il bambino matura il concetto di schema corporeo, concetto che si evolve con lo sviluppo di tutte le funzioni fisiologiche e cognitive in relazione al suo inserimento ambientale e culturale.
Con la consapevolezza della propria strutturazione fisica e funzionale, il ragazzo prende atto delle proprie potenzialità vitali, creative e di relazione.
Nel ragazzo non vedente, o con minorazioni intellettive o motorie, la capacità di relazione spaziale, fisica, con oggetti, ambienti e persone, può essere gravemente limitata se fin dai primi annidi vita, egli non è stimolato a ricercare il rapporto e la familiarità con l'ambiente e con tutto ciò che esso contiene.
Ovviamente, nella prima infanzia le abilità di relazione verranno estese innanzitutto alle persone della famiglia, e prima ancora, al rapporto con la madre - primo ambito in cui la creatura deve riuscire a differenziarsi identificandosi come persona dotata di caratteristiche proprie – e, di seguito, agli oggetti di prima necessità. Gradualmente verranno acquisite le prime relazioni d'uso dello spazio, dunque una prima conoscenza di questo, unita a una prima evoluzione strettamente funzionale (mangiare, vestirsi, spostarsi, soprattutto in ambienti ristretti, camminare, lavarsi, giocare) che, nel caso del bimbo non vedente, è prevalentemente tattile. Contemporaneamente si svilupperanno le abilità di relazione, ovvero le capacità di graduale acquisizione di autonomia affettiva, meglio definibile come capacità di organizzarsi nello spazio e nel tempo, controllando sempre meglio le tensioni affettive, in modo da razionalizzare il modo di vivere se stessi e l'ambiente.
Con l'inserimento scolastico e il primo approccio con la lettura e la scrittura1, il fanciullo tende a concentrare la sua capacità di percezione nell'acquisizione delle abilità di decodificazione e di produzione di testi scritti. Egli è spesso profondamente appagato dall'interesse culturale che gli offre la scuola, unitamente a quanto gli viene dalle relazioni personali con i compagni. Egli ormai conosce e sa usare lo spazio strettamente indispensabile a vivere e ad avere le relazioni affettive essenziali, e soprattutto è padrone dei primi indispensabili mezzi per imparare, comunicare, arricchirsi spiritualmente e creare.
Nel ragazzo non vedente, tutto ciò che finora ha acquisito, a parte la conoscenza superficiale dell'oggetto, gli è stato trasmesso oralmente; così è, per esempio, per l'esperienza corporea di benessere o di malessere, dello stare fermi o dell’essere in movimento, del ripercorrere un itinerario conosciuto da soli, o l'esperienza interiore d'esser lieti o tristi, in presenza di estranei o d'amici. Tutto ciò che generalmente viene appreso per trasmissione visiva, il ragazzo cieco o ipovedente, lo deve imparare attraverso gli altri sensi, e in parte attraverso la descrizione orale degli educatori, dei coetanei e, talvolta, dall'intervento casuale di estranei. Ciò che viene riportato, però, ha la caratteristica di essere filtrato, interpretato da altri: non può essere perciò trasmesso né appreso in
modo veramente oggettivo o, più precisamente, personale.
Anche in presenza di minorazioni intellettive o motorie, e dunque in tutti quei casi in cui la percezione è limitata - sia per insufficienza di capacità decodificative, mnestiche o logiche, sia per un'effettiva riduzione della potenzialità motoria alla quale consegue una ridotta esperienza di movimento - il bambino non può raggiungere coi soli mezzi di cui è dotato, la qualità cognitiva dei coetanei. Parleremo più a fondo di questi specifici casi, affrontando l’argomento della concezione spaziale.

Durante l'adolescenza l'individuo ricerca, spesso con grandi crisi, la definizione della propria personalità. In tal senso, dunque, e come ho già detto in premessa, credo che la scuola media debba fornire gli strumenti e rendere noti i mezzi che possano permettere un'adeguata ricerca di se stessi e della propria identità umana e sociale.
Il ragazzo non vedente, più di altri, potrà sentirsi oppresso dalla dipendenza altrui, e comunque vorrà sentirsi, almeno quanto i suoi coetanei, "grande", adulto, libero di esprimersi secondo la propria natura; non è più totalmente appagato dalle amicizie e dalle tantissime cose da imparare: vuole essere padrone di se stesso. E' in questa fase dell'evoluzione che si ripresenta, con urgenza e prepotenza, la necessità di saper gestire la propria corporeità e l'ambiente.
Credo di essere sulla buona strada per comprendere a fondo questo nuovo momento della crescita, affermando che, in esso, il giovane non vedente, se vuole fare un salto qualitativo di autonomia culturale e d'integrazione all'ambiente, deve rimettere in discussione tutto il prprio precedente concetto di spazio.
Nel bambino vedente, il passaggio dalla sensazione propriocettiva alla sensazione esterocettiva avviene spontaneamente e direttamente quando, attraverso i sensi, egli acquisisce òa consapevolezza di percepire e di appartenere al mondo esterno. La vista, nella formazione di questo concetto, è il mezzo che permette l'immediato riscontro delle sensazioni corporali, psicologiche, nervose e anatomiche, a prescindere dalla volontà personale di operare detto riscontro, o dal livello di coscienza individuale: "Il corpo è uno spazio privilegiato percepito dall'interno", dice André Lapierre2 "e che, poco a poco, si organizza e si struttura in rapporto al proprio asse […]. Poi potrà proiettarsi all'esterno. Sarà allora possibile situare gli oggetti in rapporto a sé, in riferimento al proprio corpo, e in un secondo tempo ci si potrà situare in rapporto agli oggetti. Solo dopo aver consolidato queste due tappe il bambino sarà capace di organizzare il mondo all'esterno di se stesso, cioè di situare gli oggetti, gli uni in rapporto agli altri, ma con un punto di riferimento sempre implicito e più o meno cosciente nel suo proprio spazio corporeo".
In assenza del senso della vista, quali saranno le modalità e i tempi di formazione del concetto di corpo, inteso come organismo che percepisce se stesso nella sua proiezione esterna, e quindi quale organismo integrato e integrantesi ad un ambito al di là di se stesso? Fino a che punto potranno essere d'aiuto la spiegazione e le esemplificazioni trasmesse oralmente? E fin dove la verbalità sarà significativa ed interiormente convincente nell'esempliflcazione? Quale valore potranno avere i termini relativi allo spazio, al movimento e alla relazione della forma con lo spazio che la contiene?
II ragazzo non vedente è legato, ancor più che i suoi compagni, a quel punto di riferimento implicitamente contenuto nel proprio spazio corporeo; ne ha fatto ottimo uso, infatti, per acquisire la padronanza della propria percezione tattile, la lettura e la scrittura in Braille, nonché una postura corretta in rapporto a se stesso e in relazione all'ambito interpersonale minimo per la vita di tutti i giorni. Io credo vi faccia appello ogni volta che gli si pone la necessità di riorganizzare il proprio spazio, foss'anche solo nel cambio d’ora delle lezioni o nel cambio d'attività o d'interlocutore.
Ecco, è a questo punto che mi chiedo quando e come, nel giovane non vedente inizia a formarsi la considerazione dell'oggetto quale ente che ha una propria struttura, con punti di riferimento al di fuori dello spazio corporeo umano, e in ogni caso indipendenti da qualsiasi fatto estrinseco a quelle che sono le sue caratteristiche "proprie", di materia, di proporzione e di relazione mutua con altri oggetti.
E mi chiedo anche come, in assenza di un'adeguata educazione "spaziale", intesa come un’educazione al movimento guidato, corredata del lessico specifico e affiancata dall'immediato riscontro tattile-cinestesico (di postura, movimento, consistenza fisica e dimensionale dell’oggetto e dello spazio), l'individuo potrebbe formarsi un reale concetto di spazio, di tempo - e perciò di movimento - soprattutto al di fuori del proprio ambito corporeo.

Non so se ho reso l'idea, ma volendo concludere la riflessione sul primo requisito, definirei sinteticamente quanto discusso, così: per piena e profonda padronanza dello schema corporeo intendo la capacità di organizzazione spazio-temporale, non più condizionata dalle qualità intrinseche di un oggetto, bensì estesa al più vasto mondo delle relazioni tra gli oggetti. Tra essi è incluso anche il proprio stesso corpo visto quale oggetto in movimento - o comunque in relazione spaziale con uno o più altri oggetti – e visto come ente dimensionale in relazione di proporzione con questi - cioè in rapporto con lo spazio che lo contiene.

La pubblicazione dei prossimi capitoli verrà effettuata con cadenza settimanale.
Se lo ritenete sono graditi vostri commenti.

Per informazioni:
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oppure:
luiscer@tiscali.it
1 Nel caso specifico del ragazzo ipo o non vedente, le capacità di percezione e di decodificazione si affineranno anche nell’uso del tatto, con il codice Braille.
2 Cfr. André Lapierre, Il concetto di psicomotricità e la sua evoluzione, Madrid, 1976.